Meditazione Buddhista e Tai Chi – Sinergia e Pratica
Ho scritto questo articolo dato che ho trovato che vi sia un alto grado di sinergia tra il Tai Chi e la Meditazione Buddhista. Non a caso ritengo che questa stessa sinergia sia una forma alternativa di meditazione in movimento. Ho praticato il Tai Chi per 17 ani e trovo sia un’eccellente espressione della consapevolezza. La consapevolezza è uno dei pilastri del Buddhismo e della meditazione buddhista. I quattro fondamenti della consapevolezza sono descritti nel Sutra Satipattana. In questo articolo li ho presi uno per uno e ho descritto il tipo di sinergia e l’esperienza che possono essere raggiunti quando li consideriamo sotto l’aspetto della pratica del Tai Chi. Nell’articolo ho dapprima citato i pasi rilevanti del Sutra Satipattana e poi ho fatto seguire ad essi le mie osservazioni.
Il Satipattana Sutra è parte di un gruppo enorme di scritti originariamente tramandati in lingua Pali, e conosciuto di conseguenza come Canone Pali. Esso fa parte della tradizione buddhista Theravada. In alcuni punti potreste trovare che il linguaggio è piuttosto diretto : la gente normalmente ha dei preconcetti sul Buddhismo ed uno di questi è proprio la sua grande gentilezza in quanto religione. Di conseguenza ancora oggi c’è gente che rimane un po’ scioccata dalla natura estremamente diretta di questo sutra. Questa non è certo un’eccezione. Il Buddhismo è di per se molto diretto. Si tratta di avare a che fare con la vita in modo diretto, senza sovrapporre ad essa dei sentimenti artificiali.
Satipatthana – il fondamento della consapevolezza
Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava nella terra dei Kurû, presso la città dei Kurûni detta Kammâsadamman (1). Là il Sublime si rivolse ai monaci: “La diritta via, monaci, che conduce alla purificazione degli esseri, al superamento del dolore e della miseria, alla distruzione della sofferenza e della pena, al conseguimento di ciò che è giusto, alla realizzazione dell’estinzione, è data dai quattro pilastri del sapere. Ecco che un monaco vigila presso il corpo sul corpo, instancabile, con chiara mente, sapiente, dopo aver superato le brame e le cure del mondo; allo stesso modo vigila presso le sensazioni sulle sensazioni; presso l’animo sull’animo; presso i fenomeni sui fenomeni. E come lo fa?
Cominciamo allora a dare un’occhiata a questo meraviglioso termine “consapevolezza” e vediamo cosa significa nel contesto di questo articolo. Il termine “consapevolezza” è essenzialmente la coscienza piena del momento presente. E’ vero che la nostra conoscenza ed esperienza del mondo è limitata dai nostri cinque sensi. Attraverso di loro facciamo esperienza del mondo in un modo grossolano, un modo limitato appunto da tali sensi.
Oltre a ciò la psicologia buddhista adotta la mente in quanto facente parte dei sensi, insomma come un sesto senso oltre ai cinque conosciuti. Proprio come gli altri sensi ricevono degli stimoli (l’olfatto è attivato dalle proprietà chimiche dell’aria che entra nelle narici, la vista dalla lunghezza d’onda della luce che entra negli occhi) anche la nostra mente li ha. Gli stimoli di cui parliamo in questo caso sono le nostre percezioni, pensieri ed emozioni che attivano la mente. In generale, quando si fa esperienza di una sensazione come un odore o un suono attraverso uno dei cinque sensi, la prima cosa che la nostra mente fa è una categorizzazione. Non importa che la sensazione provata ci piaccia, ci disgusti o ci lasci del tutto neutrali. Sempre di categorie si tratta. Cosicchè questa impressione iniziale viene percepita ad un livello estremamente semplice. Subito dopo, la mente prende possesso di essa.
La mente comincia a ricoprire tutti i nostri condizionamenti, idee e concetti, e ci guida verso una concettualizzazione dell’esperienza: alla fine di tale percorso, affermiamo che quella sensazione non ci piace per nulla oppure che ci piace tanto. Persino nel caso di una prima impressione neutrale, essa potrebbe trasformarsi in un giudizio negativo. La nostra mente è come un bambino piccolo: cerca costantemente l’attenzione di qualcuno a cui aggrapparsi o qualcosa da fare. Di conseguenza, è per questo che che uno stimolo neutrale non è di alcun interesse e che può invece sorgere una vera e propria avversione.
Se siamo invece pienamente consapevoli, possiamo imparare a sperimentare i nostri cinque sensi direttamente, senza tutte le costruzioni successive che la mente fa sopra le sensazioni stesse. Siamo anche consapevoli del modo in cui la mente costantemente lavora. Questo significa che siamo in grado di identificare la prima risposta allo stimolo, che avviene in una frazione di secondo, e la successiva risposta che avviene quando la mente sceglie di identificare positivamente o negativamente quello stesso breve attimo percettivo.
Di conseguenza, se siamo pienamente consapevoli, possiamo invece catturare quello stesso momento, prima che la mente cominci a vagare e ad aggiungere alla mera sensazione tutte le altre cose con cui ama trastullarsi e con le quali seppellisce l’esperienza pura e semplice. Se siamo consapevoli, in altri termini, possiamo fare esperienza del momento in modo pieno e e completo, per quello che è, nel suo senso più pieno.
Io credo che il Tai Chi sia, essenzialmente, un esercizio di consapevolezza. La pratica del Tai Chi richiede che noi diamo all’esercizio che si svolge la massima concentrazione possibile. Impariamo a tenere la mente concentrata sul movimento del nostro corpo e a comprendere l’energia che fluisce attraverso di esso. La meditazione buddhista, dal suo lato, focalizza la mente su di un singolo oggetto, consentendoci di esercitare la mente stessa in un modo che consente lo sviluppo della consapevolezza: nel nostro caso, l’oggetto su cui ci si potrebbe concentrare è guarda caso il nostro corpo o l’ambiente che stiamo precependo.
Il Tai Chi esalta questo aspetto dato che ci fornisce un punto di riferimento estremamente potente su cui concentrarsi. Il Tai Chi è davvero un’esperienza del corpo in un dato ambiente, puramente e semplicemente. Inoltre, il livello di concentrazione sulla mente e sull’ambiente è anch’esso assai forte ed aiuta a costruire l’esperienza stessa della consapevolezza.
Un monaco si reca all’interno della foresta, o sotto un grande albero, o in un vuoto eremo, si siede con le gambe incrociate, il corpo diritto, e si esercita nel sapere. Cosciente egli inspira, cosciente espira. Se inspira profondamente egli lo sa; se inspira brevemente, egli ne è consapevole. “Voglio inspirare sentendo tutto il corpo”, “Voglio espirare sentendo tutto il corpo”, “Voglio inspirare calmando questa combinazione corporea”, “Voglio espirare calmando questa combinazione corporea”; così egli si esercita.
Buddha ha sempre enfatizzato la necessità di tirarci fuori dalle nostre vite piene di rumore. Qui vediamo le le istruzioni che ci vengono date per “andare nei luoghi selvaggi”. Chiaramente, non sempre è cosa facile, ma nondimeno il messaggio è chiaro. Tiriamoci fuori dalle vite quotidiane. Spegniamo la radio, spegniamo il cellulare. Per un praticante di Tai Chi questo è cosa ovvia. Non possiamo sperare di tenere concentrata la mente sulla nostra stessa forma corporea se la nostra vita quotidiana interferisce.
Inoltre, qui si introduce il discorso sulla postura. Possiamo imparare qualcosa su tale argomento sia dalla disciplina della meditazione che dal Tai Chi. Prima di cominciare una serie di movimenti siamo nella posizione Wuji (il vuoto). Sebbene noi si stia in piedi, la nostra schiena è diritta, la nostra testa è bilanciata, le braccia cadono giù. Tutto il corpo è rilassato. Cominciamo a sviluppare la sensazione di essere appesi dalla cima del capo ed al tempo stesso rilassiamo l’intero corpo. In tal modo acquistiamo radici, una solida fondamenta. Questa idea della fondamenta era di incredibile importanza per il Buddha. Non a caso, al momento della sua Illuminazione, egli toccò la terra per aiutarsi nella sua battaglia contro Mara (Mara personifica l’inabilità, la “morte” della vita spirituale. E’ un tentatore che distrae gli umani dal praticare la via spirituale rendendo atraenti le cose mondane o, in altri termini, mascherando il negativo da positivo). Comprendiamo che il toccare la terra null’altro significava che non il cercare un aiuto semplicemente toccando terra. In qualche modo il contatto con la terra ci aiuta a mantenersi nel nostro qui-ed-ora. Ci ricorda di essere consapevoli. All’inizio della “forma” del Tai Chi – nello stato di Wuji, stiamo facendo qualcosa di simile. Semplicemente, stiamo in piedi, e diveniamo consapevoli del nostro contatto con la terra. Siamo rilassati ma all’erta, assieme alla sensazione che la terra stessa stia esercitando una pressione attraverso legamenti ed articolazioni, attraverso il corpo, sino alla cima della testa.
Se inspira profondamente, (il monaco) egli lo sa; se inspira brevemente, egli ne è consapevole. “Voglio inspirare sentendo tutto il corpo”, “Voglio espirare sentendo tutto il corpo”, “Voglio inspirare calmando questa combinazione corporea”, “Voglio espirare calmando questa combinazione corporea”; così egli si esercita. Così come un abile tornitore o garzone tornitore tirando fortemente sa “Io tiro fortemente”, tirando lentamente sa “Io tiro lentamente”: così accade al monaco allorché inspira ed espira. Così egli vigila presso il corpo interno sul corpo, presso il corpo esterno sul corpo, di dentro e di fuori egli vigila presso il corpo sul corpo. Egli osserva come il corpo si forma, come esso trapassa; osserva come il corpo si forma e come trapassa. “Ecco com’è il corpo”: tale sapere diviene il suo sostegno perché esso serve alla comprensione, alla riflessione; ed egli vive indipendente e non desidera nulla dal mondo.
Il Buddhismo e la meditazione buddhista utilizzano il corpo come un punto di riferimento di assoluto valore ai fini dell’acquisizione di una piena consapevolezza. In una delle meditazioni classiche chiamata Anapanasati, è il respiro che viene utilizzato per mettere a nudo lo stato dell’attenzione e la crescita della consapevolezza. Ma a dire il vero, qualunque sia il nostro punto di riferimento il messaggio del passagio appena esposto è ugualmente chiaro. Stiamo per fare esperienza dell’oggetto di meditazione esattamente per quello che è. Per noi è estremamente facile coprire l’oggetto di meditazione con qualche concetto mentale. La mente tende immediatamente a dominare qualunque forma di pensiero sorga al suo interno. Un esempio che dimostra efficacemente questo punto è ad esempio un piccolo dolore fisico. Quando ad esempio sediamo su di un cuscino e tentiamo di meditare, nella tipica posizione a gambe incrociate con la schiena diritta, possono sorgere dei doloretti alle gambe e ad altre parti del corpo se tentiamo di mantenere la posizione di meditazione per un certo tempo senza esserci abituati (e di fatto non sediamo mai in quella posizione se non per meditare). Se lasciamo che la nostra mente prenda il controllo della situazione, allora è sicuro che comincino a sorgere dei pensieri. “Ahi ahi mi fa male la gamba, magari farei meglio a muovermi per calmare il dolore ma le regole dicono che non dovrei muovermi per nulla. Oh che dolore! Questa meditazione è ridicola, perchè dovrei continuare a tutti i costi? Che idea folle questa di sedermi qui in questa posizione con tutto il dolore che essa mi provoca. Adesso mi alzo dal cuscino, faccio due passi e il dolore si calma.”
Se cominciamo a lasciare che la mente ragioni in questo modo non faremo mai dei progressi. Se guardiamo semplicemente la sensazione che è dietro al dolore in modo oggettivo, troveremo spesso che essa è di gran lunga inferiore come intensità ed estensione a ciò che la nostra mente ci faceva visualizzare. Il dolore viene e va come fossero delle onde e se riusciamo a rilassarci proprio mentre lo proviamo, molte volte passa da solo. Attenzione, non è uno strano esercizio masochistico! Il lettore deve capire che qui stiamo parlando dell’attenzione nuda e cruda. La pratica è, insomma, quella di imparare a vedere le cose esattamente per quello che sono, cioè non nel modo in cui la nostra mente le interpreta.
Il Tai Chi ci fornisce un’opportunità per questo tipo di pratica. Una volta che siamo diventati dei buoni praticanti e abbiamo imparato bene la forma, scopriremo che il Tai Chi ha un suo ritmo proprio, come fosse una gentile progressione dentro la forma: un ritmo che non si arresta mai, muovendosi continuamente da una posizione all’altra. E’ un poco quello che avviene con il respiro. Quando respiriamo è quasi impossibile accorgersi che esiste una piccola pausa tra un’inspirazione e un’espirazione. Sembra proprio che il respiro fluisca continuamente.
Il Tai Chi è esattamente così. La forma fluisce e la consapevolezza della nostra mente può essere collocata proprio sulla forma stessa nel suo fluire. Quando pratichiamo la forma non forziamo il respiro dentro la successione dei movimenti e non aggiungiamo sforzo o energia alla forma stessa. Concediamo semplicemente alla forma di fluire. Tuttavia, la forma non è qualcosa di floscio: al contrario essa ha forma e direzione, esattamente come il nostro respiro. Essa viaggia. La forma ci consente di fare piena esperienza dei nostri corpi. Mentre ci muoviamo dentro la forma osserviamo lo stiramento di ogni muscolo, la sensazione di appoggio a terra, la temperatura dell’aria attorno a noi, lo sfregamento degli abiti contro il corpo, il sapore che abbiamo in bocca, la luce che ci colpisce gli occhi. Facciamo esperienza di tutto dall’interno dei confini della forma.
“… E ancora: il monaco, quando cammina, sa che lo sta facendo; lo stesso quando è fermo; così pure quando è seduto e quando giace; egli sa in quale posizione si trova, qualsiasi essa sia. …Così egli vigila sul corpo interno, vigila sul corpo esterno, vigila sul corpo interno ed esterno, non sostenuto da nulla che appartenga al mondo.
E ancora: il monaco è chiaramente consapevole nel venire e nell’andare; nel guardare e nel distogliere lo sguardo; nel chinarsi e nel sollevarsi; nel portare l’abito e la scodella dell’elemosina; nel mangiare e nel bere; nel masticare e gustare; nel liberarsi dalle feci e dall’urina; nel camminare o nello stare seduto; nell’addormentarsi e nel risvegliarsi, nel parlare e nel tacere. Così egli vigila sul corpo interno, vigila sul corpo esterno, vigila sul corpo interno ed esterno, non sostenuto da nulla che appartenga al mondo. “
Camminare qui ha evidentemente una gran importanza. Nella meditazione Buddhista abbiamo l’idea della meditazione fatta camminando. Il Buddha ha enfatizzato questo modo di meditare ed ha camminato egli stesso per molti chilometri nella sua vita. Nel Tai Chi, l’atto del camminare è eseguito con estrema cura. Quando appoggiamo un piede a terra facciamo una piena esperrienza del momento in cui tale azione avviene. Non ci limitiamo semplicemente a buttare il peso sul piede. Prendiamo contatto con il suolo come se stessimo assaggiando il suolo coi nostri piedi. Facciamo caso al primissimo momento in cui avvertiamo una lieve pressione attraverso la suola della scarpa (di solito centrando il peso sul punto di ebollizione, un punto energetico). E’ solo in un secondo momento, quando il corpo si muove come un’unità completa, compatta, che spostiamo il peso su tutto il piede. Posiamo studiare il modo in cui l’energia fluisce attraverso il corpo attraverso il modo in cui il peso si assesta sul piede. Il peso è come un liquido, un olio denso che lentamente scorre nella gamba. Possiamo osservare come aumenta la pressione sul puiede mano a mano che la nostra energia si muove. E per tutto il tempo dell’esercizio noi manteniamo alta la consapevolezza su tutto ciò che succede: lo sguardo, gli odori, la temperatura, il gusto che abbiamo in bocca e così via. Siamo completamente dentro il momento in cui muoviamo il passo.
“Inoltre. così come se vi fosse un sacco legato ai due capi, pieno di diversi cereali: riso, fave, sesamo; e un uomo competente lo slegasse e ne esaminasse il contenuto: “Questo è riso, queste sono fave, questo è sesamo”: allo stesso modo appunto un monaco esamina questo corpo in tutti i particolari. Il monaco esamina questo corpo dalla cima della testa alle piante dei piedi, la pelle che lo ricopre e come esso è ripieno di varie impurità: “Questo corpo ha capelli, peli, ha unghie e denti, pelle e carne, tendini, ossa e midollo, reni, cuore e fegato, diaframma, milza, polmoni, stomaco, intestini, mucose e feci, ha bile, secrezioni, marciume, sangue, sudore, linfa, lacrime, siero, saliva, muco, liquido articolare, urina”.
Un aspetto incredibilmente importante della meditazione Buddhista è il modo in cui oserviamo il nostro corpo con obbiettività, esattamante per quello che è. Non glorifichiamo il nostro corpo né lo copriamo d’ingiurie. Siamo semplicemente testimoni di ciò che esso è, senza racchiuderlo in categorie come “piacevole” o “spiacevole”, semplicemente “prendendo nota”. Facciamo di nuovo questa operazione e tentiamo di rimuovere le impressioni ulteriori con cui la mente ha ammantato la nostra esperienza obbiettiva del corpo, come i desieri, gli attaccamenti e le spiacevolezze. Se facciamo questo ci saremo spinti avanti nell’acquisizione dell’equanimità e nella capacità di guardare tutto con la stessa obiettività. Credo che il Tai Chi possa aiutarci validamente in questo percorso. Abbiamo un solo corpo e siamo piuttosto ingabbiati in esso! Così, quando pratichiamo il Tai Chi non facciamo altro che praticare dentro i limiti che il nostro corpo presenta qui e ora. Alcuni di noi sono flessibili, altri no. Alcuni potrebbero essere ciechi, altri avere malattie alle articolazioni. Nessuna di queste cose può impedirci di fare Tai Chi pienamente e completamente perchè, a dispetto di eventuali limitazioni, il nostro corpo può ancora darci ciò che sperimentiamo se siamo pienamente nel momento presente, pienamente vivi, attraverso la pratica del Tai Chi.
Andy Spragg, c2008 www.re-vitalise.co.uk
Traduzione di Augusto Bruni