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Thartang Tulku: l’immagine di sè

13 Maggio 2016 Scritto da Lama Jampa Gyatso

Nella tradizione tibetana la coscienza viene compresa come una reazione fisica. L’interiorità d’un essere umano è identica a ciò che esso è all’esterno, nel regno fisico. Un essere è l’incarnazione della sua coscienza. I modelli di comportamento caratteristici di una persona – le sue ossessioni, le sue sfortune, le sue tenebre o i suoi sentimenti di grande realizzazione – si manifestano tutti a livello fisico. Possiamo dire che una persona “funziona” veramente bene in quanto essere umano allorché la sua coscienza è ben equilibrata.

Allorché osserviamo il flusso costante dei pensieri e delle idee [che abbiamo nella mente, ndt], è ammissibile che noi si scopra che la maggior parte delle nostre riflessioni tratti di ciò che siamo. I nostri pensieri sono estremamente coinvolti nell’immagine che abbiamo di noi, e noi esigiamo da noi stessi di essere conformi a quei pensieri. Ci ritroviamo a cercare di sedere in un certo modo, di portare certi vestiti, o di parlare in un modo particolare. Questa caratteristiche personali assumono una certa forma esterna, [che ha, ndt] una personalità differente da quella che abbiamo realmente. Dato che in precedenza abbiamo creduto in pensieri o in modelli concettuali che nutrono la coscienza, succede che in seguito la nostra coscienza si lascia coinvolgere immediatamente nel mondo della rappresentazione che abbiamo della nostra persona. Ma allorché mettiamo sotto analisi la coscienza, questo suo modo di riflettersi non si manifesta più. Impossibile da identificare come un’entità conosciuta, si dissolve, non è più nulla!

E’ vero che potete avere delle concezioni, relative alla vostra immagine, apprese in un momento specifico, ma nessuna proiezione particolare [nata adesso, ndt] sopravvive alle pre-concezioni che la riguardano.

Noi pensiamo e parliamo come se senza alcun dubbio potessimo  toccare la nostra immagine personale. Tuttavia, qui vediamo coinvolte qualità distinte: [da un lato] il nostro “sè”, “io”, “me”… [e dall’altra] il riflesso di ciò che abbiamo capito di noi stessi. Questo “io” o “me” è coinvolto nella vita sotto molteplici aspetti. Sperimenta, sente e vede le cose in modo molto vivido e immediato; ma allorché questo “io” è pieno della propria immagine, la persona comincia ad agire come se fosse qualcun altro. Per esempio, potreste essere  una persona incline alla timidezza, oppure una che sente profondamente la vergogna, l’imbarazzo, la colpevolezza o un’insoddisfazione diffusa. Da questo momento in avanti il vostro “io” viene invaso da una sensazione molto viva e importante, la quale altro non è, di fatto, che l’attualizzazione di un dramma personale: l’idea che avete di voi stessi!

E’ possibile lasciarsi andare a un’introspezione e anche possibilmente chiarire lo statuto che accordiamo a questa immagine di noi stessi. Immaginate di osservare i vostri pensieri ed emozioni nel corso di un serio disturbo o di un grande momento di tristezza. Il vostro animo è molto agitato, ma questi istanti [di introspezione, ndt] possono permettervi di di rendervi conto che di fatto voi non siete assolutamente la persona afflitta da un grande dolore. Questi disturbi nascono di riflesso a partire dall’immagine di voi stessi. Si tratta tuttavia di un’osservazione difficile – siamo così tanto implicati in queste auto-immaginazioni fabbricate lungo tutto il corso della nostra vita! E’ dunque essenziale vedere che, proprio durante questi problemi particolarmente dolorosi, è possibile distaccarsi da essi. E’ questa specie di arretramento che ci permette di percepire quale sia il nocciolo della nostra immagine riflessa. Nel corso nelle nostre esperienze quotidiane si sviluppano certe energie, come ad esempio una sorta di coscienza tremolante oppure esplosiva oppure un sentimento di paura, di collera o di tensione. E’ sempre la stessa cosa che produce questa forza acquisita, ma come tutte le sensazioni relative al “sè” anche questa non esiste veramente. Così come non ci sono un “io” o un “me” permanente, non ci può essere nemmeno un immagine di sé durevole. E’ vero che la sensazione esiste, ma dal momento in cui avrete perduto l’appetito che nutre “l’immagine di sè”, la sua influenza sarà eliminata per sempre. E’ proprio a partire da lì che si può produrre un’esperienza assolutamente differente del dolore.

 

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Thartang Tulku: l’immagine di sè

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